mercoledì 14 novembre 2012

Rivoluzione condivisa: dai Lavoratori ai Lavori, lo Statuto alle Parti Sociali




di Giuseppe Sabella e Luigi Degan


Il 9 novembre il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha inviato alle parti sociali la bozza del disegno di legge delega al governo sullo Statuto dei lavori. Lo stesso giorno, intervenendo all’Università di Torino, ha spiegato che aveva promesso di presentare il ddl solo dopo una preventiva consultazione con i sindacati sui fondamenti e sui contenuti, puntando a ottenere un Avviso comune. E rivolgendosi «a quell’Italia ideologizzata che non è poca», ha aggiunto che «lo Statuto dei lavori, che era il sogno di Marco Biagi, dimostra che i valori non cambiano, cambiano i tempi».
Il ddl delega si propone soprattutto di identificare un nucleo di diritti universali di rilevanza costituzionale e coerenti con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, applicabili a tutti i rapporti di lavoro dipendente e alle collaborazioni a progetto in regime di sostanziale mono-committenza. L’idea di Sacconi è far rivivere lo Statuto dei lavoratori, la legge 300 del 1970, in una realtà diversa. Una parte dello Statuto, quella attinente ai diritti fondamentali della persona e del lavoro, resterà ferma come norma inderogabile di legge; un’altra parte, attraverso la contrattazione collettiva, potrà aggiornare, modulare ed estendere le altre forme di tutela sociale adeguandole alle diverse realtà, anche territoriali, del mondo del lavoro.
Il vecchio Statuto, che quarant’anni fa il riformismo italiano visse come una grande conquista, appartiene all’economia fordista, all’Italia della grande fabbrica, che continua a esistere solo nelle idee di chi non accetta il cambiamento della realtà. Oggi i lavori sono tanti e diversi, e l’intenzione di Sacconi (condivisa dalle realtà sindacali che da tempo collaborano al processo di riforma del lavoro) è di proteggere tutti i lavoratori, a prescindere dal fatto che siano dipendenti o no, e coloro che non sono ancora entrati nel mercato del lavoro o ne sono stati espulsi o sono in procinto di uscirne.
«La proposta del ministro è interessante perché parte col piede giusto: prima ancora di presentare al Consiglio dei ministri e al Parlamento un ddl si rivolge alle parti sociali, alle quali chiede nella loro autonomia di realizzare un Avviso comune, impegnandosi a recepirne i contenuti in un provvedimento legislativo», dice a Tempi Giorgio Santini, segretario confederale della Cisl. «Nel delicato equilibrio tra legislazione e contrattazione, la scelta del ministro rappresenta indubbiamente una grande opportunità per le parti sociali per far valere, attraverso il libero confronto e la condivisione, il ruolo della negoziazione collettiva come strumento che meglio rappresenta e traduce in normative le esigenze e gli obiettivi del mondo del lavoro e dell’impresa».
Nel 1996 fu Marco Biagi, all’epoca consulente di Tiziano Treu, ministro del Lavoro del governo Prodi, a proporre una riforma dello Statuto dei lavoratori, che include il noto ed emblematico articolo 18. Tale articolo riguarda solo le conseguenze in caso di licenziamento illegittimo: reintegrazione se l’azienda ha più di 15 dipendenti, altrimenti indennità economica. Quindi la revisione di tale norma non porterebbe – come invece afferma la Cgil – alla libertà di licenziare, ma inciderebbe solo sulle conseguenze del licenziamento illegittimo. E in Parlamento giace un progetto di legge presentato dal senatore democratico Pietro Ichino che prevede di sostituire la conseguenza della reintegrazione con una indennità economica che arriva anche oltre venti mensilità di retribuzione. Con la proposta di Sacconi, comunque, l’articolo 18 non c’entra nulla. Non a caso in questo frangente anche Cisl e Uil si dicono pronte a difendere i diritti dei lavoratori qualora alla Cgil e ai sindacati conlittuali venisse voglia di sollevare un altro fuorviante polverone in merito.
Il giuslavorista assassinato dalle Br voleva varare una rimodulazione delle tutele previste dalla legge 300, ampliando quelle ora inesistenti a favore del lavoro flessibile e attenuando quelle del lavoro dipendente. Ma il Parlamento a maggioranza di centrosinistra fermò la proposta. Fu in seguito Roberto Maroni, ministro del Welfare nei governi Berlusconi dal 2001 al 2006, a rilanciare l’idea dello Statuto dei lavori: prima con il Libro Bianco (ottobre 2001), poi, dopo la morte del professore, affidando il compito di predisporre una proposta di modifica dello Statuto dei lavoratori a una commissione presieduta da Michele Tiraboschi, allievo di Marco Biagi e oggi protagonista del processo di riforma del lavoro. Ma anche i buoni propositi di Maroni sono rimasti tali.
«Certamente il tema della ridefinizione delle tutele per molti lavoratori non è rinviabile», osserva Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil. «Da circa 15 anni si è proceduto a profonde innovazioni legislative (e non solo) per cercare di trovare un equlibrio tra la necessaria flessibilità e le condizioni di lavoro. Non sempre, bisogna sottolinearlo, questo obiettivo è stato raggiunto. Ad avviso della Uil si dovrà operare per valorizzare la buona flessibilità e contrastare gli abusi di alcune forme di lavoro (tirocini e collaborazioni improprie). Partendo da questo si deve costruire un sistema di regole e tutele che accompagnino lavoratori e imprese verso quella necessaria flessibilità che è ormai parte integrante dell’attuale sistema economico produttivo. Se lo Statuto dei lavori risponderà a questi obiettivi dipende, soprattutto, dalla capacità delle parti sociali di costruire proposte condivise».
Il 10 marzo del 2002, pochi giorni prima del suo assassinio, così scrisse il Professor Biagi: «Lo “Statuto dei lavori” dovrebbe finalmente dare all’Italia nuove tecniche per regolare tutti i tipi di lavori, anche quelli più atipici, rivedendo vecchie norme non più in sintonia con la moderna organizzazione del lavoro e prevedendone delle nuove capaci di governare i mestieri emergenti nella società basata sulla conoscenza. (…) Solo alla fine, quando lo “Statuto dei lavori” sarà stato scritto, solo allora sapremo chi ha vinto e chi ha perso in questo confronto acceso fra governo e parti sociali. Speriamo che vinca soprattutto un’alleanza fra istituzioni e attori sociali che punti alla modernizzazione. Altrimenti sarebbe una sconfitta per tutti».

Le novità introdotte dal Collegato Lavoro rafforzano gli strumenti extragiudiziali di risoluzione delle controversie di lavoro senza precludere un percorso giudiziario che rimane pienamente disponibile e il mantenimento della gratuità delle spese di giustizia è stato richiesto ed ottenuto dalla Cisl proprio per non precludere ad alcuno l’accesso alla via giudiziaria.
Questi sono i tratti per noi salienti del provvedimento: la scelta tra i due canali è volontaria, in capo responsabilmente ad ogni lavoratore, ma la contrattazione collettiva diventa sempre più lo strumento di regolazione della conciliazione e dell’arbitrato proprio come la Cisl ha sostenuto da sempre nella propria ormai sessantennale storia sindacale.

La nuova legge sul Lavoro si pone in una prospettiva di riformismo che ha avviato un chiaro processo di rinnovamento culturale nella società. Cisl lo condivide?
In questo percorso la Cisl ha rifiutato di piegarsi alla logica dei radicalismi, tra l’indifendibile intoccabilità di un diritto del lavoro immobile e totalmente inderogabile e la de-regolazione esplicita e diffusa con il rischio di effetti lesivi dei diritti dei lavoratori, in piena coerenza con la propria storia sindacale.
Abbiamo guardato al merito e alla sostanza del problema e conseguentemente formulato puntuali e rigorose richieste di modifica all’impianto originario del Disegno di Legge, ottenendo significativi risultati che sono stati ottenuti anche in seguito all’Avviso Comune tra le parti sociali (con l’autoesclusione della Cgil) dello scorso 11 marzo e al recepimento delle osservazioni al provvedimento da parte del Presidente della Repubblica.
Abbiamo affermato che il rafforzamento di conciliazione e arbitrato così come l’utilizzo responsabile di uno strumento come la certificazione dei contratti di lavoro siano tutte sfide importanti per un sindacato moderno. Dobbiamo ora fare un passo in più e utilizzare con maggiore forza lo strumento degli enti bilaterali per governare, insieme alle parti datoriali e nel rispetto delle differenze di ruolo e rappresentanza, molti ambiti del mercato del lavoro siano queste le politiche attive del lavoro, la salute e sicurezza, l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, le controversie individuali.

La resistenza che tale "nuovo corso" incontra, è fondata sulla paura del cambiamento e sull’istinto di conservazione o ha anche altre ragioni?
In una fase storico-sociale di grandi trasformazioni occorre essere coraggiosi nelle scelte di cambiamento. E’ la strada che abbiamo imboccato, insieme alla Uil e a tutte le organizzazioni di rappresentanza, con l’esclusione, purtroppo della Cgil, pur sapendo che i mutamenti culturali e organizzativi non sono facili da attuare.
Le scelte di mutamento, per essere efficaci, devono infatti necessariamente ispirarsi ai valori di fondo dei fondatori della Cisl, quali l’autonomia, il pluralismo, la solidarietà, essere dinamiche nella loro attuazione basandosi sulla condivisione da parte dei dirigenti, degli operatori e dei lavoratori iscritti e contemporaneamente dare espressione alle speranze e ai desideri delle persone ed essere strumento per il raggiungimento degli obiettivi di tutela e promozione sociale del mondo del lavoro..
La resistenza cieca di quanti, in occasione ad esempio del Collegato Lavoro, ma non solo, si sono contrapposti alle proposte di riforma è controproducente sotto tre profili: non permette di entrare nel merito delle questioni, si piega a palesi condizionamenti politici e preclude la ripresa di un dialogo tra le organizzazioni sindacali.
Gli episodi di violenza nei confronti delle nostre sedi e, soprattutto dei nostri militanti, a partire dalla base, sono un segno di imbarbarimento non solo dei contenuti, ma soprattutto delle forme di confronto.
Quando non si hanno argomenti sufficienti, si passa alle uova e agli insulti.


(Intervista pubblicata sul sito web di Tempiwww.tempi.it – 28 ottobre 2010)

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