martedì 27 novembre 2012

Riflessioni sulle primarie di centrosinistra

I costruttori

Al voto per le primarie del centrosinistra sono andati 3,1 milioni di italiani: è il dato delle elezioni del 2009 e di questi tempi è un successo. Al ballottaggio del 2 dicembre andranno Perluigi Bersani, con il 44,9% dei voti, e Matteo Renzi, con il 35,6: sono dati pressoché definitivi. Non per il corifeo del nuovo che avanza, però, per il Rottamatore, che questi dati contesta ed avanza una richiesta a parer mia del tutto legittima, perché, come diceva il buon vecchio Lenin: «La fiducia è bene, il controllo è meglio». E la richiesta è quella che il Coordinamento nazionale delle primarie metta online i verbali di tutti i novemila seggi.
Bersani risponde con un abbraccio: vorrebbe che riferendosi a lui ed ai suoi sostenitori Renzi usasse il “noi” e non il “loro”, che andrebbe invece riservato a Berlusconi. Be’, in questo il segretario del partito un po’ del Gargamella ce l’ha. Un po’ di ipocrisia ce la mette. Perché finché la competizione elettorale non sarà conclusa Renzi gli sarà avversario e questo “volemose bene” anticipato sa tanto d’antico, di machiavellico, di capzioso.
Ora dicono che al sindaco di Firenze sono andati i voti della destra. Non credo sia vero, e tuttavia coloro che lo dicono pensano forse sia di destra la riforma del lavoro proposta da Ichino, che Renzi ha posto tra le sue priorità di governo. Ma costoro sbagliano. È di sinistra. Perché ciò che migliora le condizioni di un crescente numero di lavoratori è di sinistra.

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La riforma Ichino, in sostanza, fa due cose: riduce le più di cento leggi sul lavoro emanate dal 1923 ad oggi a 64 articoli del Codice civile – perdonino i rottamandi consulenti del lavoro –  e introduce una visione del lavoro inedita, in Italia, d’ispirazione, pensate un po’, danese: la flexsecurity, vale a dire un modello che unisca il massimo di flessibilità possibile delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza dei lavoratori nel mercato del lavoro.
Lo so che alla sinistra piacciono le favole, ma se in Italia la metà dei lavoratori non ha alcuna forma di protezione in caso di perdita del lavoro è anche colpa della sinistra, che ha ecceduto nella difesa di tutte le garanzie acquisite da alcuni non accorgendosi che il prezzo era l’assenza di garanzie per altri. Scrive Ichino nel suo disegno di legge:
«In sostanza si tratta di questo: un codice del lavoro semplificato, composto di una settantina di articoli molto chiari e facilmente traducibili in inglese, suscettibili di applicarsi a tutta l’area del lavoro sostanzialmente dipendente. Così si supera il dualismo fra protetti e non protetti nel mercato del lavoro. L’idea è che, in partenza, questo nuovo “diritto del lavoro unico”, per la parte relativa ai licenziamenti, si applichi soltanto ai rapporti di lavoro nuovi, che si costituiscono da qui in avanti. La nuova disciplina si può sintetizzare così: tutti a tempo indeterminato (tranne, ovviamente, i casi classici di contratto a termine, per punte stagionali, sostituzioni temporanee, ecc.), a tutti le protezioni essenziali, in particolare contro le discriminazioni, ma nessuno inamovibile. E a chi perde il posto una garanzia robusta di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, di continuità del reddito e di investimento sulla sua professionalità. Quello che l’impresa risparmierà in termini di tempestività dell’aggiustamento degli organici basta e avanza per coprire il costo di una assistenza alla danese nel mercato del lavoro».
Questa cosa è di sinistra. Qualcuno lo dica a Vendola. Questa cosa o la si fa e presto o i lavoratori diverranno nemici. Come Gargamella e i puffi. Ma per le strade il rosso non sarà solo quello del cappello dei funghi. Per questo non metterò come immagine un disegno di Peyo ma un dipinto di Léger, “I costruttori”. Sarà che non ho mai smesso di credere che il lavoro nobilita l’uomo. Sarà che mi piace pensare che la funzionalità dell'uomo, per esprimermi con un linguaggio tanto caro alla psicologia cognitiva, sia anche e forse primariamente collettiva. 
A presto. 
Edoardo Varini

(26/11/2012)

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