La produttività, cruciale per rilanciare la crescita in Italia, è in questi giorni al centro delle decisioni sia contrattuali tra le parti sociali sia fiscali del Governo e del Parlamento. La rilevanza è evidente perché, come dimostra l'Istat, negli ultimi 10 anni l'Italia ha avuto un differenziale di crescita reale annua della produttività pari a -1,2 punti percentuali rispetto alla media della Ue a 27 Paesi. Per semplificare con riferimento all'Italia consideriamo tre grandi categorie di componenti che incidono sulla competitività e produttività: generali; connettivi; aziendali.
Sono temi sui quali Il Sole 24 Ore e Confindustria insistono in modo crescente con scopi che vanno ben oltre quelli aziendali, come dimostrano anche due recenti iniziative: gli "Stati generali della Cultura" promossi dal Sole e "Orientagiovani" promosso dalla Confindustria. La rilevanza consiste nello spiegare - come ha fatto magistralmente il Presidente Giorgio Napolitano - che cultura, istruzione, giovani fanno il futuro di un Paese dal punto di vista sia civile che economico, incidendo anche sulla produttività su cui ci concentriamo.
Tra le componenti generali di competitività e produttività che l'Italia deve riformare ricordiamo le infrastrutture e la burocrazia. Le prime, di cui abbiamo scritto spesso, andrebbero potenziate in quanto si stima che un nostro adeguamento degli investimenti infrastrutturali ai livelli europei può generare un incremento del Pil quasi del 12% nell'arco di un decennio. La burocrazia andrebbe resa più efficiente con le semplificazioni e la drastica accelerazione dei tempi di risposta. Certo la realizzazione delle infrastrutture costa ma non più di quanto costa la burocrazia inefficiente a imprese e famiglie. Bisognerebbe allora attuare uno scambio virtuoso investendo i risparmi derivati da più efficienza burocratica in infrastrutture.
Tra le componenti connettive di competitività e di produttività ricordiamo l'istruzione, la formazione, la ricerca scientifica e tecnologica, le tecnologie dell'informazione e comunicazione, l'organizzazione. È noto che l'Italia ha investito poco in capitale immateriale centrato sulla conoscenza, che aumenta la produttività totale dei fattori. La connettività o complementarietà della conoscenza è chiara perché la qualità delle risorse umane e della ricerca hanno effetti che vanno dal civismo all'innovazione, dall'efficienza alla qualità della vita (basti l'esempio della salute). Ma anche all'aumento della nostra autonomia di Paese dotato di poche materie prime e risorse energetiche. Sulla necessità di potenziare questi fattori in Italia ci sono migliaia di dati che provano un nostro posizionamento sotto le medie europee, salvo qualche eccezione che conferma la regola.
Gli anni di istruzione formale della forza lavoro sono infatti minori e le specializzazioni sono poco connesse alla domanda del sistema produttivo sia dal punto di vista formale (pochi tecnici per le industrie) sia per le scarse corsie di passaggio esperienziale da scuola a lavoro (ci vorrebbe una dualità alla tedesca). Si calcola che due anni aggiuntivi di istruzione per il nostro Paese determinerebbero a regime, una volta coperta tutta la popolazione in età lavorativa, un aumento del Pil del 20% su 50 anni, ovvero in media quasi mezzo punto all'anno. Quanto alla ricerca e sviluppo (R&S) l'Italia è molto al di sotto della media Ue per tutti gli indicatori di investimenti e non raggiungerà certo quel 3% di spesa in R&S sul Pil previsto da "Europa 2020" partendo dall'attuale 1,26%. La Ue e la Uem sono al 2%, la Francia al 2,25%, la Germania al 2,84%. Tuttavia, pur con scarsi investimenti, l'Italia riesce a mantenere livelli internazionali in nicchie universitarie e accademiche nella ricerca pura e applicata. Lo stesso vale per le piccole e medie imprese che malgrado la scarsa brevettazione (le domande di brevetti per milione di abitanti sono 265 in Germania, 135 nella Uem e in Francia, 108 nella Ue e 73 in Italia) realizzano con l'innovazione informale i successi del "made in Italy". Ma senza più investimenti e maggiori dimensioni nella ricerca e nelle imprese non potremo reggere a lungo la competizione internazionale.
Tra le componenti aziendali di competitività e di produttività in evidenza in questi giorni ci sono quelle fiscali e quelle contrattuali. Tra le prime si attende dal Ddl stabilità un credito di imposta per gli investimenti in R&S finanziato su un fondo alimentato dai tagli degli incentivi alle imprese, che avrebbe anche effetti connettivi tra università e imprese come quelli prima trattati. Non è tuttavia nota l'entità del fondo (si dice 400 milioni), quella del credito d'imposta (si dice il 30%), i limiti minimi e massimi per ogni impresa, le annualità. Più definita sembra essere la detassazione dei salari di produttività per la quale si prefigura un fondo di 2,150 miliardi sul triennio 2013-2015, una tassazione (sostitutiva di Irpef e addizionali) al 10% fino a un reddito di 40mila euro, una decontribuzione fino al 5% per incentivare la contrattazione di secondo livello.
Tra le componenti contrattuali fondamentale è l'accordo sulla produttività tra le parti sociali nel cui ambito ci sono la flessibilità nella contrattazione di secondo livello, i limiti alla dinamica retributiva, il demansionamento, le corsie di passaggio occupazionale tra anziani e giovani. Ritorneremo in particolare su questi ultimi temi, consapevoli che solo una politica sistematica e duratura sulle tre componenti indicate contribuirà significativamente alla crescita italiana.