domenica 4 novembre 2012

LA RICETTA TEDESCA PER TROVARE LAVORO AI GIOVANI



Luigi Degan

Sono 11 milioni i giovani senza lavoro censiti dall’Ocse a marzo. Secondo le rilevazioni compiute dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico prima del G20 di Guadalajara in Messico, le persone nella fascia dai 15 ai 24 anni priva di occupazione sono pari al 17,1% del totale nei Paesi più sviluppati, e la percentuale sale al 22,1% - pari a 3,345 milioni di giovani – nei Paesi dell’Eurozona e al 22,6% - oltre 5,5 milioni di individui - se si considerano tutti i 27 Paesi della Ue. Si tratta dei valori più alti dall’inizio della crisi, che peraltro esprimono una media. Nei singoli Paesi la realtà è anche più dura, soprattutto in Spagna e Grecia, dove nella prima parte di quest’anno rispettivamente il 51,1% e il 51,2% dei giovani è risultato disoccupato. Più indietro, anche l’Italia registra un peggioramento sul fronte dell’occupazione giovanile: a marzo ha raggiunto il picco del 35,9%, pari a 534mila persone, un terzo del totale della popolazione giovanile.
Se si amplia lo sguardo alla totalità dei disoccupati, questi sono rimasti invariati tra febbraio e marzo nell’area Ocse – all’8,2%, ammontano al 10,9% nell’Eurozona (sostanzialmente in linea, con un incremento dello 0,1%, rispetto a febbraio, ma in aumento del 3,6% rispetto al marzo 2008) e al 9,8% (con un +0,2% congiunturale) in Italia.
A fronte di questi dati, il segretario generale dell’organizzazione con sede a Parigi, Angel Gurria, ha sollecitato una “azione decisiva e concreta” da parte dei governi: “Ci sono mezzi efficienti in termini di costi per stimolare le prospettive occupazionali dei giovani e le strategie di consolidamento fiscale devono essere intelligenti, amiche della crescita, e prendersi cura delle nuove generazioni. Proponiamo politiche concrete e mirate e investimenti in competenze ed educazione dei giovani, per dare loro speranza per un futuro migliore”. Come ha spiegato da Michele Scarpetta, del centro studi Ocse sul lavoro, “in Europa neanche la timida ripresa del 2011 ha invertito il trend: la disoccupazione giovanile continua a correre”.
In Italia un giovane ogni 5 non lavora né studia, ma va a rimpinguare le fila dei cosiddetti Neet - Not in education, employment or training – e questo fa del nostro Paese la maglia nera d’Europa. Dai dati Excelsior resi noti dal Ministero del Lavoro risulta peraltro che nel nostro Paese ci sono 117mila posti di lavoro per i quali nessuno si fa avanti, tra i quali 5000 ruoli di commesso, 2.300 di cameriere, 1.400 di informatico e telematico, 1.270 di contabile, 1.250 di elettricista, 1.000 di barista, 1.000 di idraulico.
La situazione non è migliore negli altri Paesi europei: dal dicembre 2007 al marzo di quest’anno l’Inghilterra è passata dal 13,6% al 21,9%, la Svezia dal 19,3% al 22,8%, la Svizzera dal 6,5% al 7,5%. C’è però un’eccezione di rilievo: la Germania, dove i ventenni disoccupati sono calati dall’11,4% al 7,9%. “Merito di politiche efficienti di formazione, apprendistato e ponte tra scuola e lavoro”, spiega Scarpetta. Servirebbe qualcosa di simile anche in Italia.
Scarpetta sottolinea infatti che l’alternanza scuola-lavoro tedesca funziona molto bene perché l’apprendistato non è soltanto un’intesa tra le parti o uno strumento di placement, ma coniuga davvero formazione e lavoro. Il disastro della Seconda Guerra Mondiale ha insegnato alla Germania che la ricostruzione passava attraverso i giovani: si sono rimboccati le maniche, hanno insegnato ai giovani il lavoro! E i giovani hanno imparato il lavoro on the job, mentre la scuola ha sempre più recepito le istanze e le dinamiche del mercato, ben consapevole che istruzione e formazione devono attenersi all’evoluzione del mercato.
Alla riprova dei fatti, in Germania si trova il primo lavoro all’età media di 16,7 anni, in Italia a 22. E mentre in Italia domanda e offerta s’incontrano attraverso il canale formale dato dai servizi di orientamento soltanto nel 15% dei casi, in Germania succede nel 40% dei casi. L’orientamento, vero ponte tra scuola e lavoro, in Italia deve crescere molto, E così pure pure la nostra cultura, che ci porta a cercare lavoro attraverso il “passaparola”: nell’85% dei casi chi ha trovato lavoro in Italia l’ha fatto rivolgendosi a qualcuno che conosce. La Germania testimonia che crescita e sviluppo sorgono dalle nuove generazione, dalla più spiccata capacità dei giovani rispetto agli adulti di cogliere il nuovo.
L’apprezzamento per i nostri “cervelli” all’estero spinge qualcuno in Italia a elogiare il nostro sistema di istruzione e formazione – sottovalutando forse che i “cervelli” hanno un’eccellenza innata -, molti converranno sulla disdicevole distanza oggi esistente tra scuola e lavoro. In Italia si parla di apprendistato, si fanno intese Stato-Regioni per il rilancio dell’apprendistato stesso e grandi convegni, ma continuiamo ad avere un sistema di Istruzione e Formazione completamente a se stante dal mercato del lavoro. Negli ultimi dieci anni il numero dei corsi di laurea è cresciuto esponenzialmente, in modo più funzionale alla crescita delle cattedre che a quella degli studenti, provocando disorientamento in questi ultimi. I dati diffusi l’anno scorso da AlmaLaurea e Fondazione Agnelli sono eloquenti sul disastro della nuova università, dopo le riforme Berlinguer e Moratti.
Secondo un recente sondaggio di Adapt solo una trentina di tutti gli atenei italiano hanno attuato la legge di quest’estate che obbligava le università a pubblicare gratuitamente i curriculum dei propri studenti sui propri siti internet per renderli più accessibili alle imprese. Questo significa che l’Università fatica a comunicare col sistema produttivo, anche a livello di ascolto; gli uffici di placament cominciano ad avere una buona percezione dei profili e delle competenze che il mercato chiede. Perché non raccogliere indicazioni da questi uffici anche per rendere la didattica sempre più rispondente alle esigenze del mercato? Il successo dei tedeschi parte da qui…    

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