di Andrea Moro (Fermare il declino)
I lavoratori del settore commerciale
Cominciamo dunque dall'affrontare i problemi dei lavoratori del settore che
si sono trovati, nel giro di pochi mesi, di fronte ad un drastico cambiamento di
condizioni lavorative. Molti sono stati costretti ad accettare la turnazione
domenicale e festiva in cambio di una piccola o spesso nulla compensazione
monetaria. In questo periodo di crisi prolungata, senza alternative
accettabili.
Non credo sia in discussione la moralità del lavoro domenicale: esistono
eserciti di persone che hanno sempre lavorato nei giorni di festa per il
beneficio di chi riposa: operatori del turismo, conduttori di treni e autobus,
pasticcieri, baristi, preti, dottori ed infermiere ... Il problema non è il
lavoro domenicale in sé, ma la transizione per chi si trova in un settore
soggetto a cambiamento. La situazione di questi lavoratori non è dissimile da
quella sperimentata continuamente da chi lavora in industrie soggette ad
innovazione. L'innovazione, in questo caso è l'apertura domenicale; poco importa
che l'idea fosse pre-esistente: aprire di domenica era vietato da leggi e/o
regolamenti in precedenza, ma ora non lo è più. Eliminare questo divieto
corrisponde ad una innovazione che cambia le condizioni lavorative, o perché le
condizioni lavorative peggiorano, come nel caso delle aperture domenicali, o
perché la domanda del prodotto scompare del tutto, come in molte altre industrie
soggette a processi innovativi. Gli esempi sono innumerevoli. Peggio si sono
trovati gli stampatori di dischi in vinile all'introduzione del compact disk.
Peggio i programmatori del motore di ricerca Altavista (e chi se lo ricorda?)
quando Google diventò il motore dominante. Peggio i lavoratori di Myspace dopo
l'avvento di Facebook. Nessuno si sognerebbe in questi casi di pretendere di
mantenere tecnologie obsolete per mantenere le condizioni lavorative dei
lavoratori delle imprese che usavano processi o strumenti divenuti obsoleti.
Rimangono però i problemi per chi subisce l'innovazione. Sorgono spontanee
alcune domande.
Ma l'innovazione non dovrebbe farci stare tutti meglio?
L'innovazione fa stare meglio quasi tutta la popolazione tranne i lavoratori
delle industrie diventate obsolete, che devono reinventarsi un lavoro o
accettare condizioni lavorative o salariali peggiori. Le aperture domenicali
degli esercizi commerciali sono una comodità per chi non riesce a fare la spesa
durante la settimana, ma un peso, spesso insopportabile, per le cassiere e
commesse abituate ad avere le domeniche libere. Come confrontare i vantaggi
degli uni con il peso degli altri? Qualcuno risolve la questione sostenendo che
esistono altri vantaggi, collettivi, oltre a quelli personali.
Le aperture domenicali non sono un modo per sollecitare i consumi e
per rilanciare l'economia? Domanda difficile; nessun economista crede
che basti "consumare" per rilanciare l'economia, ma qualcuno pensa che la
crescita derivi da maggiori consumi. Nel caso dei supermercati, è ragionevole
pensare che la domanda di cibo e beni di consumo domestico sia abbastanza fissa;
chi compra la frutta di domenica finirà per comprarne meno di Martedì. Questo è
vero, ma non vanno sottovalutati guadagni di efficienza in senso lato: se so che
posso fare la spesa di Domenica, al Martedì posso fare cose che non avrei fatto
altrimenti: posso stare più a lungo al lavoro, posso portare i bambini a scuola
di pianoforte, il che beneficia sia i bambini, sia gli insegnanti di musica, sia
i produttori di pianoforti. Insomma si creano opportunità che non sarebbero
state possibili nel regime precedente.
Ma non si tratta di vantaggi minuscoli rispetto al peso sopportato
dalle commesse? Quando troveranno il tempo di dedicarsi alla loro
famiglia? Domande difficili, perché chiedono di comparare vantaggi e svantaggi
di persone diverse. A naso, uno potrebbe dire che nel lungo periodo si
specializzeranno in queste professioni persone che non hanno figli da accudire
la Domenica, o comunque persone che non hanno particolarmente a cuore riposare
di Domenica piuttosto che di Martedì. Oppure persone con figli che preferiscono
avere un giorno infrasettimanale libero per accompagnarli alla lezione di
musica. Nessuno si è mai preoccupato dei figli dei pasticcieri, anche perché
questi ultimi sapevano fin dall'inizio, quando hanno scelto la loro professione,
che i pasticcini la gente li compra la domenica dopo la messa. I commessi dei
supermercati invece devono gestirsi una transizione difficile.
Un cambiamento sostanziale delle condizioni contrattuali non è del tutto
diverso da un licenziamento e andrebbe trattato in modo simile, facendo
attenzione a possibili abusi. In un sistema ideale, come quello proposto da chi
ha in mente sistemi di flexsecurity, come noi di fermare il
declino, la transizione dovrebbe essere coperta da una assicurazione sulla
disoccupazione che protegga i consumi di chi si trova in condizioni simili e
finanzi, per chi lo voglia, un apprendistato per chi è disposto a cambiare
professione. Tutto questo, lo ammetto, non è senza costi, perché la gente è
legata al proprio lavoro. Esistono, ovviamente, persone che non possono essere
protette da questi meccanismi, come i piccoli esercenti travolti
dall'impossibilità di tenere sempre aperti i loro piccoli negozi. La situazione
di queste persone è più difficile anche perché si tratta di persone che
conducono un'attività imprenditoriale che è per sua natura rischiosa. A queste
persone non resta che reinventare il proprio lavoro e trovare una nicchia in cui
specializzarsi per mantenere la propria attività. Anche qui negli Stati Uniti,
dominati dai centri commerciali e dai supermercati aperti 24 ore, esistono
piccoli negozi che riescono a sopravvivere grazie al supporto al cliente e alla
specializzazione.
I ritmi regolari della vita di un tempo
Non so se ho convinto gli scettici, ma passiamo alla seconda fonte di
disagio: la perdita del mondo romantico in cui la Domenica deve (semplificando)
essere dedicata al riposo. L'apertura domenicale è frutto del consumismo e della
frenesia moderna che ci porta a spendere e consumare, ogni giorno. È progresso
questo?. Di primo acchito questa è una posizione anti-libertaria. L'obiezione
immediata da commento facebook-style sarebbe: "chi ti obbliga a fare la
spesa di domenica? Lasciala fare a chi vuole farlo e vai a farti la
scampagnata". Ma c'è un problema più serio. La scampagnata io me la godo se
la faccio con i miei amici. Se i miei amici e i miei vicini fanno lo shopping di
domenica o peggio se devono lavorare (quelli che fanno lo shopping di domenica
non sono miei amici), non c'è nessuno che venga a fare il pic-nic in collina con
me. Questa è una obiezione più seria, alla quale alcuni economisti hanno pensato
seriamente. Per semplicità considero qui risolto il problema (descritto nella
sezione precedente) della "transizione" per i lavoratori correntemente impiegati
nel settore.
Un'idea, presentata per esempio in un paper di Glaeser, Scheinkman e
Sacerdote (Journal of
the European Economic Association, 2003 - in inglese come tutti gli articoli
che linkerò in seguito) è che in presenza di interazioni sociali esistono
"complementarietà" fra le scelte delle persone. In parole povere, se io scelgo
di prendermi una giornata libera al Martedì per andare a fare una passeggiata in
montagna, lo stesso cerca di fare il mio amico perché è più bello passeggiare
assieme che da soli. Il problema è come coordinarsi. Come facciamo se uno dei
nostri capi ci concede la giornata libera il Martedì e l'altro la Domenica? Se
queste "complementarietà" sono sufficientemente forti, allora può avere senso
per un governo benevolente obbligare i suoi cittadini a prendere tutti il giorno
di riposo lo stesso giorno (per esempio la Domenica), perché le perdite di
efficienza che derivano dall'obbligare a non lavorare chi vuole farlo sono più
che compensate dal guadagno di "benessere" derivante dal fare la gita tutti
assieme. La regolamentazione governativa risolve il problema di coordinamento e
tutti sono felici (tranne qualche raro a-sociale che si ostina a pretendere di
lavorare la Domenica).
Questo in linea teorica. Empiricamente, gli economisti cercano di studiare
queste domande analizzando per esempio le differenze fra le attitudini al lavoro
fra Stati Uniti ed Europa. Negli Stati Uniti si lavora di più (e non solo di
Domenica), ma non è sempre stato così: all'inizio del XX secolo e fino alla
prima guerra mondiale si lavorava di più in Europa. Le ore medie annuali
lavorate in tutti gli anni Sessanta e fino all'inizio dei Settanta erano più o
meno le stesse in Italia, Stati Uniti, Francia, Germania, ma il divario è
poi aumentato (vedi figura). Difficile pensare dunque che si tratti di
differenze culturali.
Secondo alcuni (Ed Prescott, per
esempio, in questo articolo del 2004, anch'esso in inglese), il divario
attuale è quasi interamente spiegato dalle differenza fra i tassi marginali
sulle imposte sui redditi. Se gli europei pagassero le tasse degli americani,
lavorebbero di più. Alesina, Glaeser e Sacerdote in un articolo del 2006, sostengono
che le stime di Prescott, basate sulla calibrazione di un modello "macro"
economico richiedono una "reattività" (noi la chiamiamo elasticità) dell'offerta
di lavoro ai cambiamenti di tasse e salari che non trova riscontro nella
maggioranza degli studi microeconomici (cioé che si basano su dati individuali),
con
qualche eccezione a noi vicina. In sostanza, secondo i tre economisti,
quando si guarda ai dati di come gli individui reagiscono ad un aumento delle
imposte, non si riscontrano cambiamenti nell'offerta di lavoro così grandi come
quelli che riscontra Prescott.
Alesina, Glaeser e Sacerdote suggeriscono che le differenze
inter-continentali sono in realtà spiegate principalmente dalla maggiore forza
dei sindacati nel vecchio continente e da maggiore regolamentazione del lavoro,
che impone chiusure domenicali e feste comandate più che negli Stati Uniti. Come
riconciliare le due visioni? Una possibilità è l'esistenza di un "moltiplicatore
sociale" come suggerito dalla teoria descritta sopra. Individualmente un
lavoratore può reagire poco ad un aumento di imposte - e questo è quello che
risulta dagli studi microeconomici , ma collettivamente (a livello "macro"),
siccome troviamo beneficio dal lavorare meno - ma assieme - l'effetto è
grande.
Come spiegato sopra, la regolamentazione del riposo e delle vacanze non è
necessariamente un male, perché ci piace andare al cinema e a mangiare la pizza
con gli amici, non da soli. Le regolamentazioni servono ad aiutare a coordinarci
ad andarci i Sabati e le Domeniche piuttosto che i Martedì. Se così fosse,
potrebbe essere vero che gli europei lavorano meno perché sono tassati di più
come sostiene Prescott, ma è soprattutto vero, sostengono Alesina & Co., che
gli americani lavorano di più perché, in assenza di regolamentazione sul vacanze
e riposo settimanale, non riescono a coordinarsi per andare in vacanza assieme.
Vorrebbero lavorare meno e sarebbero più felici facendolo assieme, ma non sanno
cosa fare a casa da soli, quindi meglio lavorare.
A mio parere personale, questo ragionamento è limitato ed insoddisfacente. È
sicuramente meglio mangiare la pizza con gli amici che da soli, ma per farlo non
devo necessariamente obbligare tutto il resto del pianeta a prendere il giorno
di vacanza lo stesso giorno in cui lo facciamo io e la mia cerchia di
compari. Anche la scelta degli amici è "endogena": se condividono i miei valori,
avranno già scelto lavori con riposo domenicale, dei quali esiste abbondante
domanda (questo è un ulteriore costo nella transizione, perché gli amici me li
sono già scelti, eravamo abituati ad andare al cinema di domenica, ora loro non
possono più). Il mondo non vive in un'anarchia totale riguardo quale giorno
della settimana sia dedicato al riposo. Anche negli Stati Uniti, le scuole,
molti uffici e negozi sono chiusi il Sabato e soprattutto la Domenica, ed
esiste, entro certi limiti, la possibilità di scegliere il lavoro anche secondo
queste dimensioni. Ora che non si fanno più le vacanze solo in Agosto nemmeno in
Italia, numerose famiglie riescono a coordinarsi per fare le vacanze assieme,
risparmiando, in altri periodi dell'estate e delll'anno.
C'è poi un'ultimo aspetto, quello della libertà personale e d'impresa.
Davvero crediamo che sia opportuno che il governo o il parlamento decidano chi
possa e cosa si possa fare un certo giorno della settimana? Se un commerciante
vuole lavorare, ed un consumatore acquistare, o fare qualsiasi attività durante
un particolare giorno della settimana, perché lo stato dovrebbe avere la
capacità di impedirglielo? A me sembra assurdo e pericoloso, perché lascerebbe
spazio a limitazioni molto più gravi. Questo aspetto mi sembra dominante
rispetto ai deboli vantaggi derivanti dal coordinamento.
Lo stesso ragionamento dovrebbe valere per chi si sente a disagio di fronte
all'esigenza consumistica di avere tutto, subito, a disposizione. Alla fine,
ogni argomento contrario all'apertura sbatte contro la libertà personale, che
non impedisce a chi lo vuole di vivere liberamente, riunendosi con chi la pensa
allo stesso modo.
Tornando alle preoccupazioni per i lavoratori costretti alle domeniche in
negozio. Se avessi amiche/amici nel settore, darei loro un avvertimento ed un
consiglio. L'avvertimento è che nonostante le proteste e un inizio forse
dal successo limitato, non torneremo al regime precedente. Fare la spesa
quando si vuole (magari la Domenica sera, di ritorno dal pic-nic in montagna) è
una comodità cui diventa difficile rinunciare dopo averla sperimentata per un
po'. Lo stesso vale, ovviamente, per i servizi pubblici, le banche, etc... (che
oramai, dove internet funziona, non necessitano nemmeno di strutture fisiche
"aperte" durante la settimana e di impiegati allo sportello). Il consiglio è che
se davvero il riposo domenicale è irrinunciabile, forse occorre cominciare a
cercare un lavoro diverso. Un consiglio triste, penoso, irriverente, ma davvero
non c'è alternativa. L'innovazione è anche distruttiva e la state subendo come
molti altri.
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